venerdì 30 agosto 2019

IL PIANO ''UGOLINO'' PER L'IMMIGRAZIONE

(lunga premessa in coda)

L'immigrato lavora in Italia ma resta soggetto al diritto del lavoro e alla retribuzione del Paese di origine, come se fosse stato assunto e lavorasse lì. Stessi diritti e stessa paga. Potremmo considerarlo un modo di aiutarli a casa loro senza doverci andare davvero.
Oppure un modo di delocalizzare senza spostare neanche un cacciavite. Delocalizzare il lavoratore invece che l'azienda.
Le imprese ne guadagnano in competitività e l'aumento del PIL rallegra anche l'Erario, con più fondi per finanziare il pubblico impiego, lo sviluppo e lo stato sociale.
L'immigrato ci guadagna un lavoro regolare, la permanenza legittima in un paese straniero con le tutele dello stato di diritto, e la prospettiva di mutare negli anni il suo status da immigrato delocalizato a straniero residente, sino a cittadino con pieno godimento dei diritti sociali e politici.
Il contratto può essere sottoscritto ovunque, nel paese di origine o nei Centri di Identificazione ed Espulsione ovunque situati, con la precisa indicazione della nazionalità del lavoratore, e costituisce titolo di soggiorno per la sua intera durata.

La premessa lunga.

Una delle obiezioni ricorrenti dei sostenitori dei porti chiusi, che, a differenza delle altre, è difficile tacciare di ignoranza e razzismo, è: cosa li mettiamo a fare questi immigrati dopo averli accolti tutti.
Tralascio le puntualizzazioni relative all'irrilevanza numerica del fenomeno percepito come una invasione, una sostituzione etnica, una islamizzazione, sulle quali hanno marciato e ancora marciano i sovranisti.
Accogliere un rilevante numero di immigrati in età da lavoro senza avere una domanda capace di assorbirlo significa condannare queste persone alla marginalità, alla povertà, all'illegalità, dato che qualcosa dovranno pur fare per mangiare tutti i giorni.
Lavoro ce ne è davvero poco e non è privo di senso affermare che gli immigrati in cerca di lavoro concorrono con i cittadini disoccupati per i pochi posti di lavoro regolare disponibili e anche per quelli irregolari.
In ogni caso, l'eccesso di offerta comporta automaticamente una svalutazione del lavoro, a danno soprattutto dei cittadini, che hanno delle aspettative superiori a quelle degli immigrati e minore propensione al sacrificio e al compromesso, dato che mentre per uno lo spettro è il reddito di cittadinanza, per l'altro è il rimpatrio forzato, per quanto remoto.

Il vero nodo dell'intera questione migratoria sta nell'ipocrita pretesa dell'universalità dei diritti dell'uomo, culmine del pensiero cattolico-liberale del mondo occidentale, ma vuota dichiarazione di intenti di fronte a miliardi di persone nel mondo oggi che non se li vedono riconosciuti e che si sentirebbero offesi a scoprire che esiste un tale concetto.
Il vero nodo è il "fallimento dei diritti presociali" per dirla con le parole del Prof. Persio Tincani, ovvero la idealistica pretesa di affermare che ogni essere umano al mondo abbia gli stessi diritti, senza minimamente porsi il problema di chi debba garantire l'effettività di questi diritti.
Dov'è il diritto alla vita di un naufrago da solo in mezzo al mare? Dove è il diritto alla salute di una donna che muore di parto in Ruanda senza nessuna assistenza? Dove è il diritto al nome di un morto nelle fosse comuni nei Balcani?
I diritti esistono in quanto effettivi solo come beneficio dell'appartenenza ad un gruppo di individui che li riconoscono e adottano strumenti per renderli effettivi; individui che in forza di un patto sociale rinunciano alla legge del più forte e alla vendetta in cambio di protezione reciproca.
Pensare che dalla protezione reciproca degli aderenti si possa e si debba passare all'affermazione dell'universalità di quei diritti, senza avere minimamente le risorse per farlo e l'accordo dell'universalità degli individui è un sogno che ci portiamo appresso dall'epoca dei lumi, nel quale rischiamo di restare imprigionati nel momento in cui la miseria e le disgrazie del mondo ci si presentano nelle loro dimensioni con la mano tesa, in un primo momento, alzata forse in seguito.
La religione cristiana, a volerla leggere per ciò che è scritto, risolve il problema, imponendo di vendere tutto ciò che si possiede e darlo ai poveri, dato che per i ricchi non c'è posto nel regno dei cieli. Particolarmente riuscita la trasposizione cinematografica di questo concetto nel film Cuore Sacro di Ozpetek, dove la protagonista si spoglia letteralmente nuda e dona tutto ciò che ha indosso ai mendicanti della stazione, per poi dedicarsi interamente alla cura dei bisognosi senza risparmio.

Arrivando al tema dell'immigrazione, pensare di riconoscere a chiunque metta piede sul nostro suolo la totalità dei diritti umani, civili, sociali e politici di cui non godeva nel suo paese di origine è una nobile idea, ma nella sua impossibilità è quella che ha prodotto il congelamento dei visti dai paesi poveri, i respingimenti in mare, la chiusura dei porti e tutto quanto forma la nostra attualità.
Che fa dire, giustamente a quelli di prima "dove li mettiamo?", meglio respingerli.
Come nella gag di Aldo Giovanni e Giacomo dove Aldo, non avendo gli spiccioli per la mancia, è costretto a sparare al cameriere per non fare brutta figura.

Destrutturare la velleitaria e ipocrita pretesa dell'universalità dei diritti a vantaggio di un nuovo approccio di pragmatiche e progressive aperture potrebbe rappresentare una possibile direzione in cui avanzare.
La proposta di delocalizzare i lavoratori vuole essere intesa in questo senso; non ti posso dare tutto quello che vorrei, ma se ti accontenti e pazienti puoi avere un futuro qui con noi.