Così recita l'art. 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, recante "Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico" ancora vigente. È evidente l'intenzione del legislatore di impedire che attentatori e stragisti si avvantaggino dell'anonimato. È, come recita il titolo della legge, una chiara misura di ordine pubblico.
Questo è il principale riferimento legislativo a cui si richiamano in questi giorni, ma anche in passato, i sostenitori dell'esigenza di una legge che vieti il burqa ed il niqab nei luoghi pubblici. Non consideriamo in questa sede la strumentalità dell'argomento dell'ordine pubblico in un dibattito nato dall'intenzione della Francia di vietarli per difendere la cultura nazionale. Limitiamoci a chiederci se si possa o no ritenere l'appartenere alla cultura araba o il richiamarsi alla religione islamica un "giustificato motivo" per indossare in pubblico un indumento che copre il volto.
La presenza di questa esimente nella legge è di per se stessa una affermazione che, fermo il principio di fondo, ci possano essere almeno in linea teorica delle circostanze in cui il divieto non può operare. Proviamo a vedere quali sono (alcune vengono in mente subito) ed a capire quale regola se ne può dedurre.
La prima causa di caduta del divieto è rappresentato dalla presenza di un obbligo contrario: il motociclista mette il casco perchè glielo impone il codice della strada; l'agente dei NOCS ed il vigile del fuoco in intervento hanno il volto coperto per precise disposizioni ed evidenti necessità.
La seconda attenuazione del divieto, prevista in parte anche dal testo della legge, è rappresentata dallo svolgimento di una manifestazione a carattere sportivo, ricreativo o culturale che richieda che alcuni o tutti i partecipanti abbiano il volto più o meno coperto. È il caso di una gara di motociclismo o di hockey, con pochi e ben identificati individui che indossano un casco, ma anche di una manifestazione folcloristica o religiosa in costume, con una moltitudine di persone col volto coperto, sino alla sfilata del Carnevale di Viareggio, per dirne una, dove migliaia di persone totalmente in incognito prendono possesso per alcune ore di un'intero quartiere. In assenza di un preciso obbligo di legge e all'interno, al massimo, di una ordinanza sindacale e del nulla-osta della questura, il divieto di coperire il volto in pubblico viene sospeso in questi casi non certo per una particolare attenuazione del pericolo di attentati, che semmai è maggiore per l'affollamento ed il disordine che si producono.
Una terza circostanza che rende di fatto inoperoso il divieto è quella in cui per motivi igienico-sanitari, molto banalmente anche solo di carattere climatico, le persone, singolarmente, ciascuna in relazione alla propria percezione dell'esigenza, portano sciarpe e cuffie che lasciano liberi solo gli occhi, o maschere respiratorie di varia natura per proteggersi da fumi, polveri e microbi presenti nell'aria delle grandi città; anche qui in assenza di qualsiasi ragionevole presunzione che il rischio di atti criminosi sia attenuato.
Ci sono anche quegli individui che, per personale gusto o per richiamo ad una qualche tradizione, portano capelli e barba tanto lunghi da non essere in realtà affatto riconoscibili, come non è difficile, nelle zone interne di molte regioni, incontrare donne di una certa età che indossano copricapo e fazzoletti che incorniciano il volto e talvolta arrivano a coprire anche il naso, lasciando liberi solo gli occhi.
C'è evidentemente qualcosa di più importante, degno di maggior tutela della pur importantissima esigenza di tutelare l'ordine e la sicurezza pubblici che porta a prevedere molte e significative eccezioni al divieto. Se nel primo caso la presenza di una legge certifica l'esistenza di un interesse superiore, negli altri casi l'interesse superiore, che pure evidentemente deve esistere, va ricercato altrove.
Molte di queste circostanze hanno a che vedere con quel "pieno sviluppo della persona umana", con quella "libertà personale" la cui tutela e la cui promozione sono tra i compiti pricipali assegnati alla Repubblica dalla Costituzione; sono quei "beni della vita" senza i quali la tutela della vita stessa perde parzialmente significato. Quello in cui la tutela dell'ordine pubblico è il principale dovere si chiama Stato di polizia ed i Costituenti, memori del regime fascista, lo avevano ben presente nel loro lavoro. L'Italia è, o aspira ad essere, uno Stato di diritto di ispirazione liberale, che pone l'individuo, elevato al rango di Cittadino, sullo stesso piano dello Stato, in un rapporto bilaterale regolato dalle leggi.
Se le esigenze di ordine pubblico fossero ritenute prioritarie ed assolute, manifestazioni come il carnevale di Viareggio o il derby Roma-Lazio non verrebbero autorizzate di sicuro, visto l'alto rischio che qualche malintenzionato approfitti della confusione per compiere qualche attentato. Allo stesso modo sarebbe vietato uscire imbacuccati la mattina o tenere barba e capelli lunghi a piacimento. Si ritiene invece giustamente inutile e controproducente anteporre le esigenze di tutela dell'ordine pubblico alla libera espressione dell'individuo e alla sua partecipazione alla vita attiva della comunità, che sono il motivo stesso per il quale la Repubblica è impegnata nella tutela dell'ordine pubblico. In sintesi, l'ordine pubblico è un mezzo e non un fine.
Se rappresentano un giustificato motivo, in quanto libera espressione della propria pesonalità e partecipazione alla vita della comunità, le motivazioni che portano un motociclista a mettere un'integrale a specchio, un panettiere ad uscire col passamontagna calato, un santone a portare la barba in tutto il volto o un ragazzo ad andare in giro con la maschera del Presidente del Consiglio a Carnevale, perchè non dovrebbe esserlo quelle che portano una donna di religione islamica ad indossare un burqa o un niqab per andare a fare la spesa o per recarsi alla funzione del venerdì?
Si dirà, ma confermando in questo modo la strumentalità della questione dell'ordine pubblico, che coloro che portano il velo lo portano perchè costrette dall'oppressione di padri e mariti violenti ed illiberali dai quali dobbiamo liberarle. Anche questa posizione è a mio avviso contestabile sul piano del diritto e dei diritti, e finisce per rivelarsi anch'essa strumentale, rispetto a posizioni xenofobe, opportunamente strumentalizzate per motivi di consenso politico.
3 commenti:
potrei obiettare che il panettiere si copre per il freddo,
mentre il velo è un fatto religioso, e c'è un mondo
di differenza proprio quella che vorremmo eliminare
con i divieti, ora sai come la penso, quindi ti muovo
un solo rimprovero ci sono occhi più belli.
Dimmi perchè,
ma perchè,
ma perchè,
negli occhi miei
non guardi mai!
Se questo è un trappolone tra te e Egine, faccio finta di stare al gioco. ;)
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