domenica 7 luglio 2013

A chiamarle puttane si manca di rispetto a quelle vere. Ennesima inutilità lessicale.

L'ispirazione, come spesso accade, mi deriva dalla lettura di un post di Malvino, che ha sempre un occhio di riguardo per Il Foglio di Giuliano Ferrara e per i radicali di Pannella.
Come al solito, è bastato che Berlusconi si sia trovato impelagato in un caso di prostituzione che subito una pletora di intellettuali d'area ha dato corso ad una corrente di pensiero per sdoganarla al grido di "Siamo tutti puttane".
Malvino porta due documenti, uno dei quali è la seguente dichiarazione di tale Annalisa Chirico:


"... quando mi basta accavallare le gambe per disporre meglio il mio interlocutore, io mi sento un po' puttana, ma anche incommensurabilmente libera."
Dico: a me a questo punto necessita una distinzione lessicale, perché una cosa è prostituirsi, "far commercio del proprio corpo, per denaro o per interessi materiali" [Zingarelli 2001] professionalmente, cioè per guadagnarsi da vivere; altro è "accavallare le gambe per disporre meglio il mio interlocutore" nella vita quotidiana e professionale di chi svolge un'altra attività.
I primi, o le prime, continuiamo a chiamarli prostitut* o puttan* e trattarl* col rispetto che si deve a qualunque lavoratore o lavoratrice che offre i suoi servizi a chi li gradisce e ne trae un giusto reddito per il suo sostentamento.
I secondi, o le seconde, chiamiamol* con un altro nome, per rispetto dei primi e delle prime. Potremmo chiamarli "diversamente liber*".