martedì 22 giugno 2010

Matrem munere: la pensione alle giovani madri.

La pensione anticipata alle donne, che tra l’altro hanno una aspettativa di vita superiore agli uomini, è iniqua ed inutile. Iniqua due volte perché fa diversi gli uguali e uguali i diversi; inutile perché non una delle scelte virtuose fatte durante la vita lavorativa di una donna può essere influenzata da quella che risulta essere una gratifica fine a se stessa.


L’UE l’ha detto ormai in modo talmente chiaro che non sarà più possibile continuare a far finta di niente, pena le salate multe paventate.
All’inizio era una voce che gridava nel deserto, la minuta ma tenace Bonino, che denunciava l’assurdo giuridico delle lady-pensioni. Una evidente discriminazione di genere contrabbandata per anni come misura perequativa dello sbilanciamento nella ripartizione del carico familiare; una donna lavoratrice, si diceva giustamente, è anche casalinga, puericultrice e badante. Se vogliamo il primo ed unico caso di riconoscimento ante-litteram di lavoro usurante; in realtà una misera foglia di fico sulle vergognose inadeguatezze dello stato sociale italiano, e capace di intorbidire controcorrente l’acqua del torrente in cui sta con i piedi a mollo un certo maschilismo di comodo.
L’UE si accinge a strappare con un sol colpo quella foglia e la vergogna sarà presto sotto gli occhi di tutti. Già le fronde più pragmatiche del mondo femminista accampano pretese sul tesoretto di risulta, rappresentato dai previsti risparmi, ma di quali risparmi parliamo? Considerando che il reddito delle lavoratrici non subirà sostanziali variazioni se non di segno positivo, il saldo attivo del sistema economico sarà rappresentato dall’aumento della prestazione lavorativa complessiva a parità di costi sostenuti. Il risparmio deriverà dalla minor esigenza di ricorso alle nuove assunzioni; appare quindi evidente che il costo dell’operazione andrà a pesare sulle giovani generazioni, che vedranno allungarsi ancora l’attesa di un lavoro stabile, cosa che andrà riconsiderata più in là nel ragionamento.


Cosa c’è adesso sotto quella foglia di fico?

Prima di tutto una tutela della maternità decisamente carente. Cinque mesi di astensione obbligatoria riescono a spostare, se va tutto molto bene, il rientro al lavoro quando il nato ha quattro mesi, con lo svezzamento in corso. Il pupo di certo non può stare da solo e si presentano una serie di dilemmi: lasciarlo dalle nonne, per chi ce le ha vicine e se ne fida; portarlo ad un asilo nido, privato, neanche a dirlo, o assumere una baby-sitter e lavorare per pagarli. Oppure optare per il congedo di maternità al 30% dello stipendio che però non dura più di 6 mesi, 11 se lo prende anche il padre. A quel punto il bimbo ha 15 mesi, è completamente svezzato, parla ma porta ancora il panno, e soprattutto corre! Se per caso le nonne avevano fatto la loro parte sino a quel momento, in poche hanno le doti atletiche per star dietro a questi piccoli Indiana Jones. La scelta del nido diventa a quel punto inevitabile e la madre può finalmente cercare di riprendere il suo ruolo di lavoratrice. Sottotono, priva dell’antico ritmo lavorativo, scavalcata nella posizione da altri, spesso colleghe senza figli da allevare, con il peso morale, che le viene ricordato ad ugni momento, di aver abbandonato il lavoro per farsi abbondantemente gli affari suoi, perennemente in ritardo, con la testa sempre da un’altra parte, assenteista a tutte le riunioni e cene di lavoro, ci mette tutti i due anni che mancano all’ingresso del pupo alla materna per togliere i sacchetti di sabbia dalla scrivania ed andare al lavoro senza elmetto, giusto quando sarebbe ora di mettere in cantiere il secondo figlio. E la giostra ricomincia, certo con molta esperienza in più, ma con risorse psicofisiche molto minori. Del terzo non ne parliamo neppure, si tratta di casi particolari, non generalizzabili. Sono passati così più o meno 5 anni, indimenticabili.
Dei figli questa donna continuerà ad occuparsi ancora per molti anni, e nel mentre, se capita, anche di parenti ed affini che vecchiaia e malattia hanno reso non autosufficienti. Certo esistono, e ci si ricorre sempre più spesso, badanti e case di cura, ma le risorse economiche non sempre sono sufficienti ed una parte del carico resta ancora sulla famiglia, e quindi spesso sulla donna.
I dati ISTAT ci dicono purtroppo che le famiglie sopperiscono sempre di più al deficit del sistema socio-sanitario.



Quanto era grande questa foglia di fico?

Quante cose ci abbiamo nascosto sotto? Quanto avrebbe dovuto essere grande per coprire tutto questo scempio? Molto o poco che sia, tutto questo viene risarcito molti anni dopo, anticipando il pensionamento di cinque anni rispetto ai colleghi maschi. E qui comincia un’altra serie di storture che lungi dal sanare quelle precedenti, ci si aggiungono.
Dello scivolo usufruiscono allo stesso modo sia quelle lavoratrici che anno seguito questo tortuoso percorso, sia beffardamente quelle che non hanno fatto nulla di tutto ciò; la madre lavoratrice con suocero a carico e la single che ha passato ferie e permessi tra crociere e villeggiature, palestre e beauty farm, riscuotono il medesimo premio. Non solo e non tanto quindi un giustificabile trattamento di favore rispetto ai colleghi maschi riservato a donne che hanno comunque dato un grosso contributo personale alla collettività, ma una ingiustificabile discriminazione rispetto a donne senza alcun impegno familiare, oltraggiosamente equiparate alle prime.
Deve essere inoltre considerata l’utilità di un risarcimento tanto intempestivo, che arriva quando tutte le scelte sono già state fatte, ed i relativi costi pagati. Si può pensare che la decisione di fare o no il secondo figlio, da prendere possibilmente prima dei quarant’anni, possa essere influenzata dall’idea di poter andare in pensione cinque anni prima dei colleghi maschi a sessanta invece che a sessantacinque anni? Ridicolo!



Cosa fare del tesoretto?

Comincia ad essere più chiaro cosa fare del tesoretto che deriverà dall’equiparazione coi colleghi. Un sostegno diretto alle lavoratrici madri, elevando almeno a due anni il periodo di astensione per maternità senza diminuzione di stipendio, o riconoscimento a ciascun lavoratore di un periodo di congedo parentale complessivo per tutta la vita lavorativa pari a cinque anni, interamente retribuito per genitorialità e situazioni di handicap grave (L. 104).
Un sostegno alle imprese che investono in facilitazioni per le madri lavoratrici, come asili nido aziendali o convenzionati e riduzione e flessibilità dell’orario di lavoro; sgravi fiscali alle imprese commisurati al tasso di fertilità (figli/dipendenti) ed al ricorso complessivo all’astensione per maternità o paternità.
Anche tenuto conto dei benefici sull’occupazione femminile che tali misure produrrebbero, resta il fatto che il ritardato pensionamento delle lavoratrici andrà ad innalzare ulteriormente la media dell’età di ingresso di nuove lavoratrici, già pericolosamente oltre quella ideale per le maternità; molte donne tardano a fare il primo figlio perché aspettano di stabilizzarsi economicamente. Queste bombe biologiche viventi hanno scarsissime possibilità di passare un colloquio di lavoro perché è palese che appena assunte avranno una o due gravidanze in sequenza, e quindi non le assume nessuno. Nel pubblico i problemi sono minori, ma resta il problema dei figli fatti cinque o dieci anni in ritardo.
Il sostegno diretto, per questo ed altri motivi, dovrebbe essere garantito a tutte le madri, lavoratrici o meno, in modo che quelle che lo vogliono possano dedicarsi a tempo debito alla maternità, per avvicinarsi al lavoro dopo e con meno problemi.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Così mi piaci!
Tutto vero. Potrei farti un resoconto della mia storia di lavoratrice e mamma (4 pargoli) senza parenti nei dintorni.
Pubblico impiego: mi tocca lavorare fino a 65 anni e non raggiungerò comunque 40 anni di contributi. Avrò una pensione da fame, visto che insegno, e non ho neppure riscattato gli anni di laurea. Comunque sarò attiva. Comunque lavorerò e mi guadagnerò onorevolmente il diritto alla pensione. Dopodichè spero di non fare la babysitter ai miei nipoti e di avere ancora voglia e salute per viaggiare. Ma non sarò responsabile per aver sottratto risorse ai miei figli. Ci sono in giro babypensionati che camperanno fino a 85 anni avendone lavorato meno di due decine. Paghiamo tutti, anche per loro e anche per le pensioni d'ora dei politici con due legislature.
Non mi dispiace essere equiparate alle donne della UE. E' giusto così. Pensionata sì, ma a testa alta, quando verrà il momento.

Ugolino Stramini ha detto...

Quattordici anni, sei mesi e un giorno di servizio era il requisito pensionistico per la mia maestra elementare, cinque di più per un maresciallo dellesercito, entrato a 17 anni andava in pensione a 36 diconsi TRENTASEI anni (ne conosco uno in pensione da più di 20 e non ne ha 60).
C'è qualcosa che non va, o no?

Felice di trovarti.

Tess ha detto...

sicuramente

Bp ha detto...

quanto vorrei aver letto tutto ciò su l'antefatto...anziché quel delirante e fine gionalista!!!!
non mi hai fatto intossicare, neanche un po'!!!!anzi...
per premio ho snellito la home del mio blog, fammi sapere se adesso va meglio :)))

baci ugolo e W te!

impollinaire ha detto...

mio padre diceva nei ricchi anni ottanta che ci stavamo mangiando il grano appena germogliato, ora è tempo di tirar fuori il sangue dalle rape, bisogna ammettere che nella nota massim "popolo di poeti, santi e navigatori" non erano menzionati gli agricoltori, peccato, ciao

Ugolino Stramini ha detto...

TESS, hai un modo di esprimerti veramente sintetico; ma non ti fa prurito addosso col caldo il sintetico? :-)

BP, grazie dei baci :-)

IMP, eh?