Non sono riuscito a scrivere nulla su Eluana; non sono riuscito a venire a capo di un solo dubbio di quelli che la sua vicenda umana mi ha instillato. Non sono sicuro di nulla, mai come adesso.
Sulla vicenda politica invece è il contrario: la deriva è talmente evidente che qualsiasi commento appare superfluo.
Quello che invece mi pare sia degno di nota è il fatto che questa storia ha costretto tutti, ciascuno per sè, a cominciare, volenti o nolenti, a stendere la bozza del proprio testamento biologico.
Ci ha costretto a chiederci cosa avremmo voluto noi se fossimo stati al posto di Eluana; qualcuno con la paura di essere ucciso senza potersi difendere, altri con la paura contraria, di essere tenuti in vita contro la loro volontà. Probabilmente entrambe per tutti.
Per me la questione si riduce ad una sola domanda: quale vita è degna di essere vissuta? Quale vita non lo è? In ultima analisi: cosa è la vita?
Il primo pensiero, mosso dall'istinto primario di sopravvivenza, è quello di trovarmi cosciente e desideroso di vivere, dentro un corpo apparentemente inerte, incapace di comunicare. Di certo considererei chi mi staccasse la spina un assassino, forse inconsapevole, ma assasino. Ad una siffatta paura dovrebbe corrispondere un'indicazione conservativa.
Il secondo pensiero, più epicureo, è quello di trovarmi cosciente e sofferente, tanto da desiderare di morire, e sperare che quella spina me la stacchino al più presto.
Il terzo pensiero, forse il più pragmatico, è di operare perchè questa difficile scelta non rimanga nella responsabilità di un estraneo, come un giudice o un medico, o peggio nello struggimento di chi mi vuole bene. Decidere per quando non sarò più capace di farlo assume in questa prospettiva la natura di diritto ma anche, stranamente, quella di un dovere. Lasciare in bianco questa pagina può apparire comodo, ma è senza dubbio imprevidente e ingiusto.
Inutile arrovellarsi a spiegare come dovranno essere interpretati i miei segnali, perché fino a che sarò in grado di darne va da sè che intendo decidere per me, e pretendo che le mie decisioni vengano rispettate.
Una cosa mi è chiara: per me la vita è tale solo se è cosciente. Io esisto come persona solo nella misura in cui ne sono cosciente; quando non ne fossi più cosciente non sarei più io, ma il resto di me. Se lo stato di incoscienza sopravvenisse ad un processo degenerativo irreversibile e quindi certo, vivo o morto a quel punto non farebbe alcuna differenza. Arrivo a dire che la scelta se tenermi in vita, donare i miei organi o darmi in pasto ai pesci non mi riguarderebbe più. Neanche il dolore mi riguarderebbe più. Fate come meglio vi pare.
Diverso quando la riduzione ad uno stato di totale inerzia senza ragionevoli previsioni di recupero e la perdita di coscienza derivasse da un evento traumatico, senza la possibilità di seguirne l'evoluzione e di averne qundi certezza. Mi potrei trovare prigioniero di un corpo inerte, incapace di comunicare alcunchè, ma non per questo incapace di provare gioia e dolore.
Senza sbandierare certezze, credo fortemente che le due ipotesi non abbiano la stessa potenzialità; credo in quello stato si possa soffrire molto più di quanto si possa gioire. Un corpo malandato può dare tutte le sofferenze immaginabili e davvero poche gioie, e lo stesso si può dire dello spirito. Una gioia, così come un dolore, può venire anche solo dall'osservazione inerte di un fenomeno o dalla passiva condivisione di un evento che riguarda i nostri cari.
E cosa potrei osservare intorno a me, nei miei cari, da un letto in cui giaccio immobile e muto? Certo qualche gioia, un traguardo, un successo, una nascita, che sarebbero tali anche in mia assenza, ma anche tanto dolore, di cui sarei spesso la causa.
La vita è fatta di gioie e dolori, e a queste e questi bisognerebbe darsi senza risparmio quando si è in condizioni di viverli nella pienezza del corpo e dello spirito, in condivisione con gli altri. Raschiare il fondo del barile quando è vuoto è miserabile, è un modo per svalutare ciò che siamo stati. Non fatemelo raschiare quel fondo. Appena siete pronti, accompagnatemi all'uscita. Grazie.
E non state in pena per me: mentre vi starete ancora interrogando sull'esistenza dell'anima io saprò già tutto.
4 commenti:
---E saprai anche che fondamentalmente, per quanto riguarda le gioie ma sopratutto i dolori, siamo tutti egoisti ma non egoisti per caso, siamo egoisti fino al midollo quando si tratta di decidere se quella persona che fino a poco prima abbiamo stimato, che ci ha fatto gioire,che per anni è stata la fonte maggiore della nostra felicità, d'un tratto uscisse dalla nostra vita per sempre, e dovessimo essere noi a decidere se farne a meno o no di quella persona, crederemo sempre di non essere pronti ad accompagnare quella cara persona all'uscita.
Tenete il mio corpo in vita fino a che non si spenga autonomamente, accanitevi terapeuticamente sono disposto a sopportare, ma sopratutto non uccidetemi e non smontatemi per pezzi di ricambio.
Saluti.
Babbo.
Caro Ugolino, post squisito di cui condivido la quasi totalità degli argomenti se non tutti. Mi rimane un dubbio, non vorrai mica aspettare il trapasso per conoscere dove sta di casa l'anima. un abbraccio.
Ugolino, tu hai molti meno dubbi di quanto vorresti farci credere.
Un saluto
Banalmente ti dico che questo tuo post è il migliore che abbia letto, a proposito di.
Ho ancora l'ombra di una perplessità: se io, adesso che sono cosciente (se così si può dire), redigo il mio testamento biologico (oltre un anno fa scaricai il testo da un sito di Veronesi)e, per caso, vado ad abbracciare un albero, cadendo in una specie di coma vigile, senza poter comunicare con l'esterno, ma essendo ancora relativamente cosciente, e se dovessi cambiare idea e decidere di rimanere in quello stato ma anche no, o comunque aver paura di essere aiutata a morire?
Ok, mi rendo conto che questo commento sembra un flusso di coscienza.
Ma tanto tu hai capito. :-)
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