domenica 16 giugno 2013

Intorno alla Convenzione di Istambul e alla violenza di genere.



Sempre le stesse cose.

Ho letto la convenzione [di Istambul]. Un passo avanti per paesi dove vige la sharia, una palude di luoghi comuni e visioni miopi per i paesi occidentali. L'errore di fondo, ma mi rendo conto di essere una voce dissonante, consiste nel confondere la violenza di genere con la violenza sulle donne, che è solo la sua manifestazione più evidente.

Questo equivoco porta a pensare che l'aspetto rilevante sia l'essere femmina delle vittime, da cui l'assurdo concetto di femminicidio, che contesto alla radice, mentre l'elemento scatenante delle violenze di genere è il sentirsi (tenuto a dimostrare di essere) maschio dell'attore.

Nel caso di cronaca da cui prendiamo spunto, non avrebbe fatto alcuna differenza se invece di una giovanetta, il bruto fosse stato respinto da un giovanetto, ma anche da un cavallo, o da una motocicletta. L'uomo che non deve chiedere mai - quanti danni ha fatto quello slogan - ha bisogno di affermarsi sul più debole per sentirsi (riconosciuto come) uomo. Non sottomettere qualcuno gli lascerebbe l'insopportabile sensazione di essere lui sottomesso a tutti, che per alcuni è condizione peggiore della galera e della morte stessa.

La sottomissione della donna, non a caso formalizzata nelle scritture sacre, è il meccanismo che a livello planetario consente di normalizzare il fenomeno in modo che anche l'ultimo dei derelitti si possa sentire maschio, almeno ogni tanto, al peggio violentando una passante o seviziando un animale (sul tenere un cane ce ne sarebbe da dire, in questa chiave).

Anche sull'utilità storica di maschi così concepiti si potrebbe discutere a lungo, ma si arriverebbe comunque alla conclusione che, almeno nel mondo occicentale, rappresenta solo una fastidiosa eredità di cui liberarsi senza rimorsi.

Siamo in grado, come madri e padri di oggi, di allevare uomini e donne esenti da questo tarlo? Questa è la domanda che come padre mi pongo continuamente. Si tratta di buttare alle ortiche buona parte della nostra cultura familiare e collettiva. Dico uomini e donne, non a caso titolo di una fortunata parata di luoghi comuni, perché senza le galline, diceva qualcuna, il gallo non può fare l'uomo.

Il mito eterno della patria e dell'eroe l'aveva già messo in dubbio Guccini. Ma occorrerebbe spingersi molto oltre, rimettendo in discussione il romanticismo e tutta la morale sessuale, passando per questioni spinose come la pedofilia e apparentemente marginali come l'arte, per giungere sino al concetto di proprietà, che fu prealessandrino, come dice Battiato.

In questo senso la Convenzione di Istambul è un pannicello caldo sulla fronte per il malato grave, e una benda sugli occhi per chi si cosidera evoluto, salvo non riuscire a spiegarsi come alcune malepiante, la violenza di genere è una, la prostituzione e le dipendenze sono altre due, continuno a infestare i campi, alla faccia di tutti i veleni che spandiamo sulle messi.

Questo non vuol dire che io non mi auguri che tutto il mondo arrivi al nostro stadio, dove l'argomento è poco più che da talk show, buono giusto per facebook. Quando tutti saranno arrivati, anche per merito di azioni simili, resterà sempre il problema di fondo. Finché ad un essere verrà insegnato a pensare a se stesso in relazione alla sua capacita di sottomettere qualcuno, maschio, femmina o animale che sia, la violenza di genere non sarà eliminata.